BORN TO DIE IN BERLIN
Berlino è una storia scritta con gli aghi sulla pelle; è carne trapassata dalle sofferenze, cicatrici rimarginate lasciate dalla Storia, graffiti fatti su un muro che non poteva cadere. Ma che poi è caduto, liberando un fiume di energia creativa che non riusciva più a essere contenuto. La Berlino riunificata dopo il 9 novembre 1989, offriva spazi enormi, post industriali, abbandonati che, come sempre è stato, trovarono negli artisti coloro che riescono a immaginare quei luoghi, inutili per il resto della società, come infinite possibilità. E’ in questi posti, unici e fantastici, che prende avvio l’incredibile, e forse irripetibile, stagione della club culture berlinese. In questo terreno fertile si sono sviluppate tante forme d’arte, tra cui quelle più estreme, quell’arte fatta con “la pelle dell’artista stesso”, che difficilmente trovano un riconoscimento negli spazi artistici ufficiali. Per quanto riguarda la musica elettronica, i club berlinesi sono stati l’incubatrice per diverse generazioni di musicisti che hanno trovato qui un ambiente ideale e protetto. Ma, come sempre accade e come è accaduto in altre metropoli quali Londra o New York, queste avanguardie di artisti che, come giardinieri in un deserto, hanno fatto nascere fiori e piante dove c’era solo sabbia, si trovano di fronte a un nemico che si chiama gentrificazione. Questo termine vuol dire “rendere signorile, nobilitare”, ovvero “riqualificare” interi quartieri o zone di una città, in precedenza già recuperate e rese abitabili dagli artisti, facendole diventare chic e alzando in modo esponenziale i prezzi delle case. Questo porta come conseguenza la sostituzione dei vecchi residenti (di strati popolari) con nuovi residenti (appartenenti alla fascia dei nuovi ricchi). Questo vero “imborghesimento” di zone culturalmente vivissime, porta grossi guadagni per pochi ma, a Berlino sta distruggendo quel tessuto sociale, formato dai club, che da solo vale circa due miliardi di euro e dà lavoro a migliaia di persone. Ma per ogni club costretto alla chiusura non si perde solo un certo numero di posti di lavoro svanisce, per perdersi del tutto, quell’identità specifica e unica della città che, dalla caduta del Muro in poi, era tornata a essere, come in altre epoche della sua storia, centro vitale dell’arte e della creatività europea. Una città in vendita alla quale forse non rimane altro da fare che cucirsi le labbra per far sentire più forte il suo grido.